Il progetto dell'architetto catalano Oscar Tusquets Blanca ha interessato anche l'area soprastante, trasformata in zona pedonale e riqualificata esteticamente.
La comunicazione tra spazio esterno ed interno è affidata alle strutture-lucernario che, dalla strada, convogliano la luce solare negli ambienti sottostanti.
Al primo piano interrato sono integrati nel progetto architettonico i resti della cinta muraria di età aragonese, mentre il calco di un campo arato del Neolitico, ritrovato durante i lavori di scavo della stazione, è esposto presso la Stazione Museo, in "Stazione Neapolis", nel corridoio di collegamento con il Museo Archeologico Nazionale.
Nei rivestimenti di questo primo livello predomina il nero, allusione all'asfalto della città contemporanea, che esalta l'apparizione dei grandi mosaici di William Kentridge. Il primo è una lunga processione di sagome scure, molte delle quali ispirate alla storia della città di Napoli, guidate attraverso la musica dal patrono della città, San Gennaro. Lo sfondo sul quale tutti i personaggi sembrano incedere lentamente è il progetto per la Ferrovia Centrale per la città di Napoli, 1906 (Naples Procession), che dà anche il titolo all'opera. Il secondo mosaico, collocato al di sopra delle scale mobili, si intitola Bonifica dei quartieri bassi di Napoli in relazione alla ferrovia metropolitana, 1884 (Naples Procession). Questa volta il disegno utilizzato per lo sfondo dell'opera è il celebre primo progetto per una metropolitana a Napoli, ideato dal poliedrico Lamont-Young.
Scendendo ancora di livello, mutano i colori dei rivestimenti e si passa ad un luminoso giallo che richiama i colori caldi della terra e del tufo partenopeo, fino ad arrivare alla quota 0, il livello del mare, segnalato dal passaggio agli spettacolari mosaici di un azzurro che si fa sempre più intenso man mano che si procede in profondità.
Si arriva così ad una monumentale sala sotterranea, in cui domina il fascino della bocca ovale del Crater de luz, un grande cono che attraversa in profondità tutti i livelli della stazione, collegando il piano della strada con la spettacolare hall costruita 40 metri sottoterra. Guardando al suo interno è possibile riconoscere, all'altra estremità, la luce del sole e un suggestivo gioco di luci LED governate dal software programmato da Robert Wilson (Relative light).
Sulle pareti della hall "sommersa" si possono ammirare le Olas, onde in rilievo progettate da Oscar Tusquets Blanca, mentre, procedendo all'interno della galleria di scavalco, siamo circondati dai pannelli del mare di Robert Wilson, By the sea... you and me, questo è il loro titolo, light box a luce LED realizzati con la tecnica lenticolare.
Men at work, l'intervento fotografico di Achille Cevoli sulle pareti in prossimità delle scale fisse, è dedicato al tema del lavoro operaio, in un omaggio a coloro che hanno realizzato lo scavo delle gallerie e la costruzione delle stazioni.
Anche la seconda uscita della stazione Toledo in largo Montecalvario, progettata sempre da Oscar Tusquets, è arricchita da opere d'arte di artisti di fama internazionale.
Oliviero Toscani è presente con due lunghi light-box che costeggiano i tapis-roulant di collegamento tra le due uscite. L'opera, intitolata Razza Umana, è parte di uno studio fotografico sulla morfologia degli esseri umani. Molte delle foto presenti nell'installazione napoletana, che ritraggono in qualche caso volti di personaggi pubblici, sono state scattate nelle piazze della città, altre in altri luoghi d'Italia o del mondo, "per vedere - come ha spiegato lo stesso autore - come siamo fatti, che faccia abbiamo, per capire le differenze. Prendiamo impronte somatiche e catturiamo i volti dell'umanità".
Sulle pareti al di sopra della lunghissima scalinata che ci conduce verso i piani superiori sono installati i pannelli neri con caratteri tipografici inargento specchiante dell'artista statunitense Lawrence Weiner, uno dei principali esponenti della corrente dell'arte concettuale, che ha fatto del valore grafico della parola il suo mezzo di espressione privilegiato. Molten copper poured on the rim of the bay of Naples (Rame fuso colato sulle rive del golfo di Napoli) è la frase epigrammatica, in inglese e in italiano, che Weiner ci propone in questo caso e che dà anche il titolo all'opera. In essa la forza icastica dell'espressione verbale si accompagna alla presenza del segno grafico di una linea curva, che sembra riprendere, sintetizzandola, la forma del golfo.
Di un'intensa drammaticità è la teatrale installazione di nove grandi ritratti in bianco e nero realizzata da una delle personalità più carismatiche dello scenario contemporaneo, Shirin Neshat, artista visiva e regista cinematografica di origine iraniana. Per questo lavoro Neshat ha scelto per la prima volta nella sua carriera soggetti occidentali, legati all'ambiente napoletano del teatro, in particolare al Teatro Nuovo, che si trova proprio a pochi passi dall'uscita di Montecalvario, e al Teatro Instabile. Tra essi possiamo riconoscere le attrici Cristina Donadio, Antonella Morea, Giovanna Giuliani e il direttore artistico del Teatro Instabile, Michele Del Grosso. Il titolo dell'opera - per la quale Shirin Neshat ha collaborato con il fotografo napoletano Luciano Romano - è Il teatro è vita. La vita è teatro - Don't ask where the love is gone ed esplicita tanto l'ispirazione al rapporto corrispondenza fra la finzione teatrale e la vita reale, quanto la volontà di rappresentare, attraverso nove diverse espressioni del corpo, il sentimento della perdita e della separazione.
The Flying - Le tre finestre, opera di Ilya ed Emilia Kabakov, in ceramica di Faenza, è una grande, ariosa visione panoramica che vede gli esseri umani librarsi in volo nel cielo insieme a stormi di uccelli e ad aeroplani. La scelta del soggetto è stata così spiegata dalla coppia di artisti di origine ucraina: "Il problema principale delle persone che entrano in una stazione della metropolitana e scendono sottoterra è che perdono la visione del cielo che si trova sopra le loro teste". La loro opera restituisce dunque al visitatore, attraverso le immagini dell'arte, la perduta visione del cielo, trasmettendo una sensazione di libertà e di felice leggerezza.
Per il piano atrio della stazione Francesco Clemente, tra i protagonisti della scena mondiale dell'arte fin dagli anni '80 con la corrente della Transavanguardia, ha realizzato Engiadina, una spettacolare opera in mosaico e ceramica, lunga più di sedici metri, che raffigura un paesaggio alpino attraversato da una fascia in ceramica di colore "giallo Clemente", sul cui sfondo sfila una corteo di oltre quaranta di figure femminili, ispirate ad antichissime immagini di danzatrici di età minoica rinvenute nell'isola di Creta. "Il titolo del mio mosaico - ha spiegato Clemente - fa riferimento alla valle di Engadina nel Canton Grigioni in Svizzera, frequentata dal filosofo Nietzsche e dall'artista Segantini. Ho scelto questa valle perché è l'ultimo luogo dove la luce mediterranea si arresta". Per realizzare Engiadina l'artista napoletano, che vive da molti anni a New York, ha collaborato con i maestri ceramisti di Vietri sul Mare e con Bruno Amman, specialista del mosaico in pietra, che, per ottenere la ricca gamma di colori e ed i raffinati effetti di luce dell'opera, ha selezionato più di cento diverse specie di marmi provenienti da tutto il mondo.